Ora che si parla tanto delle tragiche conseguenze del terremoto in Nepal non ho potuto fare a meno di pensare alle proprie esperienze in questo bellissimo paese dalle persone dal cuore d’oro.
Con Matej, il mio compagno di viaggio in questo paese cosparso di montagne e colline, avevamo appena concluso il famoso trekking Annapurna Circuit, e dopo quasi una settimana di vacanza a Pokhara – una rinomata città turistica con un isolotto al centro del lago - ci è venuta di nuovo voglia di imbatterci in qualche altra avventura, visto che ci restavano abbastanza giorni prima del ritorno a casa.
La decisione era stata presa ed eravamo già a bordo di uno di quegli autobus locali decorati in maniera buffa, tipici di questi luoghi, diretti verso il confine tra India e Nepal, vicino al quale si trova il Parco nazionale di Chitwan. Si tratta di una grande riserva naturale di quasi 1000 kmq che ospita elefanti asiatici, rinoceronti, coccodrilli, tigri del Bengala e moltissimi altri animali.
Per vedere la riserva offrivano decine di diversi tour guidati - dagli “elephant safari” dove ti conducono attraverso la giungla ad ammirare gli animali selvatici in groppa a degli elefanti piuttosto addomesticati, fino a itinerari fotografici in cui la guida ti mostra ogni fiore che cresce lungo il fiume. Visto che eravamo ormai agli sgoccioli del nostro viaggio, ad entrambi, naturalmente, i soldi scarseggiavano. Le escursioni più convenienti costavano diverse migliaia di rupie, oltre alle cinquecento rupie solo per l’ingresso nel parco. Beh, dato che preferivamo avere garantito il viaggio di ritorno per Kathmandu e visto che entrambi proveniamo dalla Gorenjska, proverbialmente la tirchieria ci scorre nel cuore e nelle vene, cercavamo chiaramente di procurarci qualche offerta migliore. Dopo aver discusso per quindici minuti con una delle guide avevamo scoperto che potevamo visitare il parco anche da soli. La guida ci aveva suggerito di fare una gita in un luogo in mezzo al parco che si chiama “10.000 laghi”. È vero che si trovava a venti chilometri di distanza e che avremmo dovuto entrare da un altro ingresso al parco, ma ce l’avremmo fatta, avevamo assicurato alla guida.
Tutti felici e orgogliosi del nostro spirito avventuriero (e del risparmio), noleggiamo due biciclette e ci avviamo verso l’ingresso lontano del parco. Pedalando sulle nostre piccole biciclette rotte - senza marce, ovviamente - sono di nuovo colpito dalle osservazioni che mi erano affiorate già sull’autobus: il Nepal è generalmente un paese montuoso, mentre la pianura del Terai dove si trova Chitwan è perfetta, e dopo un mese di cammino sotto montagne di ottomila metri questa pianura mi sembra semplicemente strana. Solo risaie verdi fin dove giunge la vista. Dopo la lunga pedalata arriviamo finalmente al villaggio e al fiume che confinano con il parco e lì la gente del posto ci indirizza cordialmente verso lo stretto in cui il fiume arriva solo fino alle ginocchia, quindi lo attraversiamo in maniera sicura. Giungiamo all’ingresso del parco, qui ci aspetta la guardia che incredibilmente chiede solo un decimo del prezzo ufficiale d’entrata. Con Matej ci scambiamo uno sguardo di gioia, paghiamo e ci dirigiamo verso l’interno. Gli alberi alti e fitti sono interrotti da un unico sentiero pedonale, largo abbastanza per le nostre due biciclette. Dopo una decina di minuti di viaggio, la giungla inizialmente silenziosa si risveglia. Lungo la strada incontriamo una grande quantità di scimmie e animali selvatici ma naturalmente tutti fuggono non appena ci vedono. La fitta vegetazione inizia lentamente a fare spazio all’acqua e finalmente raggiungiamo il posto chiamato “10.000 Laghi” che fondamentalmente è una palude straordinariamente bella, costellata di piccoli isolotti coperti di vegetazione e collegati con un sentiero di legno rialzato. Cerchiamo un isolotto con una piacevole vista, ci mettiamo comodi e ammiriamo i suoni e i movimenti degli abitanti della foresta e dei coccodrilli che di tanto in tanto salgono a prendere un po’ di sole sulla superficie dell’acqua. Trascorriamo così qualche oretta, godendoci per bene il sole e il parco ma il tempo purtroppo incalza e dobbiamo dirigerci indietro verso l’uscita.
Mentre pedaliamo di nuovo tranquillamente sul sentiero stretto della foresta, ormai manca solo qualche chilometro all’uscita, pochi metri davanti a sé noto al lato della boscaglia un’enorme massa grigia. Non faccio in tempo a stendere il braccio indietro per avvisare Matej che la massa è già uscita fuori dai cespugli e si rivela essere un rinoceronte gigante.
Mi rendo appena conto di cos’ho davanti a sé e prima ancora di poter dire qualcosa, vedo Matej che letteralmente sobbalza in aria facendo un giro di 180° e se la dà a gambe levate lontano da me. Per un attimo mi balena l’idea di prendere la macchina fotografica in mano ma il buon senso prevale per fortuna e mi unisco a Matej battendo in ritirata. Dopo qualche minuto di puro sprint ciclistico indietro, verso il cuore della riserva, ci rendiamo conto che il rinoceronte blocca la nostra unica via d’uscita dal parco ed entrambi pieni di adrenalina decidiamo di andare a vedere se il percorso si è già liberato. Facendo molta attenzione e con le gambe pronte a fare un altro sprint, ritorniamo al punto del nostro primo incontro e vediamo il rinoceronte che a circa quaranta metri di distanza dal sentiero ci scruta con attenzione attraverso la vegetazione. Noi due l’abbiamo sorpreso tanto quanto lui ha sorpreso noi. Proseguiamo con un ritmo pacato e quando pensiamo di essere al sicuro, spingiamo sui pedali e voliamo via passando davanti all’uscita e alla guardia dall’espressione sorpresa e attraversiamo il fiume dove ci buttiamo sulla sponda e cominciamo a ridere di se stessi e dell’imprevisto in cui ci siamo imbattuti, felici di essere vivi e sani. Solo allora ci sfiora il pensiero – e se fosse stata una tigre?
Gregor Ambrožič, autore della storia terza classificata al concorso GoOpti per il miglior racconto breve 2015.